Il farmacista scomparso: la tragica fine di Vincenzo Macrì
Sequestrato e ucciso dalla ’ndrangheta nel 1976 a Grotteria, il suo destino mai chiarito divenne simbolo della violenza mafiosa

La tragica storia di Vincenzo Macrì, farmacista calabrese rapito e ucciso dalla ’ndrangheta nel 1976, rimane un doloroso simbolo della violenza mafiosa che ha colpito la Calabria rurale. Un caso senza una vera giustizia, che continua a interrogarci sul silenzio, sul potere mafioso e sulla necessità di preservare la memoria delle vittime innocenti.
Il rapimento e la scomparsa
Il 7 ottobre 1976 a Grotteria, in provincia di Reggio Calabria, l’anziano farmacista Vincenzo Macrì, 76 anni, fu rapito mentre viaggiava insieme alla moglie sulla sua vettura. Da quel momento non si ebbero più notizie: né del medico, né del luogo del sequestro, né della sua sorte. Il suo corpo non fu mai ritrovato, lasciando aperto un mistero doloroso nella comunità locale.
Il contesto della violenza mafiosa
L’omicidio di Macrì si inserisce in un periodo di straordinaria conflittualità criminale nella piana di Gioia Tauro e nella Locride, caratterizzato da una serie di agguati, rapimenti e omicidi perpetrati dalla ’ndrangheta. In quegli anni, le cosche erano impegnate nella Faida di Cittanova, che coinvolse clan come gli Albanese, Facchineri, Ursini e altri, causando numerose vittime innocenti e vittime di mafia per errore.
I mandanti e le indagini
Dalle ricostruzioni emerse in seguito, alcuni collaboratori di giustizia identificarono i presunti responsabili del rapimento di Macrì nei membri del clan Ursini, in particolare Rocco e Francesco Albanese. Si trattò di una forma di intimidazione rivolta al farmacista, probabilmente legata a questioni economiche o comportamenti ritenuti inaccettabili dalla cosca. Tuttavia, il processo non portò a una condanna definitiva: l’assassinio rimane ancora oggi senza colpevoli accertati.
La memoria spezzata
Vincenzo Macrì è stato ricordato come vittima innocente della criminalità organizzata, un uomo dallo status rispettabile che divenne bersaglio per ragioni oscure. Il suo caso rappresenta una delle tante storie di immensa sofferenza che segnano la memoria delle aree più martoriate dalla ’ndrangheta: un esponente della società civile che scompare senza giustizia e lascia dietro di sé solo interrogativi e lutto.
L’eredità simbolica del caso
Il rapimento e la scomparsa di Macrì contribuì a creare un clima di paura e rassegnazione nei territori interessati dalla criminalità organizzata. Divenne un simbolo del potere esercitato senza scrupoli da clan locali, capaci di colpire persone comuni in nome della propria egemonia. Negli anni successivi, la vicenda fu citata in indagini antimafia e riflessioni sul fenomeno 'ndrangheta, come esempio della subalternità imposta ai cittadini e dell’assenza di verità concreta.