Attentato contro Sigfrido Ranucci, ombre di ’ndrangheta sull’esplosivo davanti casa
Gli inquirenti seguono la pista calabrese: l’ordigno artigianale come messaggio criminale

Fra le piste battute dai Carabinieri del Nucleo Investigativo di Frascati e dalla Direzione Distrettuale Antimafia di Roma, quella che porta alla ’ndrangheta è oggi la più concreta nell'indagine sull’attentato dinamitardo contro Sigfrido Ranucci, conduttore di Report e simbolo del giornalismo investigativo italiano. Il giornalista vive sotto scorta dal 2021, dopo che un narcotrafficante vicino a cosche calabresi fu intercettato mentre discuteva un piano per ucciderlo. La matrice mafiosa dunque non è solo un’ipotesi, ma un filo investigativo già presente nelle carte giudiziarie.
Ordigno artigianale ad alto potenziale: un messaggio mafioso
Secondo le prime analisi degli artificieri, l’ordigno lasciato davanti al cancello dell’abitazione di Ranucci era un ordigno artigianale ad alto potenziale, confezionato con oltre un chilo di polvere pirica pressata. Il congegno, nascosto tra due vasi sul marciapiede, sarebbe stato innescato con una miccia: una scelta rudimentale ma efficace, tipica delle azioni dimostrative delle organizzazioni mafiose.
Un’esplosione simile avrebbe potuto causare una strage. Il gesto appare deliberato e calcolato per spaventare, intimidire e inviare un segnale. Non più proiettili recapitati in busta o minacce anonime, ma terrorismo mafioso nel cuore della Capitale.
Ranucci: una scorta che non basta
Ranucci ha ricordato ai cronisti che la minaccia nei suoi confronti è costante. «Qui l’anno scorso sono stati trovati proiettili» — ha detto indicando il vialetto davanti casa — «La scorta mi protegge quando mi muovo, ma non vigila qui, sulla mia abitazione». Parole che sottolineano tutta la fragilità del sistema di protezione: il giornalista resta vulnerabile proprio nel luogo in cui dovrebbe sentirsi più al sicuro.
Le intimidazioni contro di lui durano da anni: pedinamenti, pressioni, tentativi di delegittimazione, fino alle intercettazioni choc su un possibile progetto di omicidio commissionato da ambienti legati alla ’ndrangheta.
Mafia, narcotraffico e apparati deviati: il fronte oscuro
La pista calabrese è al centro dell’inchiesta non solo per i precedenti ma per il contesto criminale che emerge dalle indagini. Le intercettazioni del 2021 parlarono di un mandante detenuto per narcotraffico internazionale, vicino a cosche della Locride, e di sicari stranieri. Quel mandante è ancora in carcere, ma gli esecutori non sono stati mai identificati. Resta aperta l'ipotesi che qualcuno voglia portare avanti quell’ordine di morte, forse come ritorsione per le inchieste giornalistiche di Report.
Gli investigatori non escludono inoltre complicità locali: chi ha agito conosceva bene la zona, ha scelto un punto cieco senza telecamere e ha agito con freddezza militare. Uno schema che richiama l’operatività delle mafie.
Un attacco alla libertà di stampa
L’attentato contro Sigfrido Ranucci è molto più di un atto intimidatorio personale: è un attacco diretto alla libertà di informazione e al diritto dei cittadini di conoscere la verità su affari criminali, corruzione e collusioni di potere. La bomba davanti a casa sua non è solo un ordigno esplosivo: è un avvertimento a chi indaga, a chi racconta, a chi non arretra.
La Dda di Roma indaga. Il Paese osserva. La ’ndrangheta continua a colpire anche così: nel silenzio e nella paura. Ma la democrazia non può permetterselo.