Tensione alta nell’aula del tribunale dove si è tenuta una nuova udienza del processo per diffamazione che vede imputato lo scrittore Roberto Saviano, accusato di aver offeso l’allora ministro dell’Interno Matteo Salvini definendolo nel 2018 “ministro della malavita”. Una definizione rimbalzata sui social e nei media, che oggi si traduce in un confronto giudiziario tra due figure centrali del dibattito pubblico italiano. Salvini, presente in aula, ha parlato di «offese gravi» ricevute non solo come uomo politico ma anche come cittadino e padre. Ha ribadito: «Non mi sottraggo alla critica, ma farmi passare per vicino alla 'ndrangheta è inaccettabile. Le parole hanno un peso». Ha ricordato come le sue azioni da ministro fossero rivolte, tra l’altro, proprio alla lotta alla criminalità organizzata. E ha aggiunto di aver denunciato Saviano subito dopo la pubblicazione dei post.

Lo scontro sul passato familiare e il richiamo a Salvemini

Il confronto si è acceso ulteriormente durante il controesame. L’avvocato di Saviano ha domandato a Salvini se fosse informato della condanna per mafia di Salvatore Mazzei, suocero del deputato leghista Domenico Furgiuele. «Non lo sapevo – ha risposto il ministro – ma non è un reato avere certi suoceri». Un riferimento, questo, che lo scrittore ha usato anche per ricordare i problemi giudiziari di Denis Verdini, suocero dello stesso Salvini. Nella sua dichiarazione spontanea, Saviano ha rivendicato l’espressione incriminata, spiegando che si trattava di una citazione storica di Gaetano Salvemini rivolta all’allora premier Giolitti, e che la userebbe ancora oggi. «Non mi pento di quelle parole – ha detto lo scrittore –. Salvini ha banalizzato la presenza della mafia in Calabria, preferendo parlare delle baraccopoli e dell’immigrazione». E ha attaccato direttamente: «In prima fila, in quella piazza, c’erano uomini dei clan. È lì che nasce il mio post».

Tra scorte, polemiche e accuse incrociate

La discussione ha toccato anche il tema delle scorte. «Come Saviano, anch’io vivo sotto scorta – ha sottolineato Salvini – e non l’ho mai considerata un privilegio. Ma non ho mai agito per togliergliela». Poi ha raccontato un episodio avvenuto in aula: «Gli ho stretto la mano, e lui mi ha detto “vergognati”. Maleducato, certo, ma non è un reato». All’esterno del tribunale, a manifestare vicinanza a Saviano, c’erano volti noti della cultura e del giornalismo, tra cui Kasia Smutniak, Sandro Veronesi, Loredana Lipperini, Chiara Valerio e Ilaria Cucchi. Lo scontro, però, è destinato a proseguire. «Salvini si attribuisce meriti che spettano alle forze dell’ordine – ha concluso Saviano –. Le sue parole sull’immigrazione in Calabria ignorano la vera emergenza: la criminalità organizzata». Il processo continuerà nelle prossime settimane, ma il dibattito pubblico – dentro e fuori dall’aula – è già rovente.