Niko Pandetta trasferito nel carcere di Uta: sei mesi di alta sorveglianza per il trapper legato alla criminalità organizzata
Il provvedimento è stato preso dopo che il cantante era intervenuto dalla Calabria dove era detenuto

Niko Pandetta, trapper catanese noto per i suoi testi controversi e per i legami familiari con la criminalità organizzata – è nipote del boss Turi Cappello – è stato trasferito nel carcere di Uta, in Sardegna, e sottoposto a sei mesi di alta sorveglianza, secondo quanto previsto dall’articolo 14-bis dell’ordinamento penitenziario.
Il provvedimento è scattato a seguito della diffusione di un video girato nella notte tra il 1 e il 2 maggio durante un concerto alla Plaia di Catania del trapper Baby Gang, nel quale Pandetta compariva, nonostante si trovasse in stato di detenzione.
Il cellulare in cella a Rossano e il sospetto di una rete interna
Il filmato ha immediatamente attirato l’attenzione delle autorità, che hanno disposto una perquisizione nella cella di Pandetta nel carcere di Rossano, in Calabria. Durante il controllo, la polizia penitenziaria ha rinvenuto un telefono cellulare, elemento che ha aggravato la posizione del trapper e rafforzato l’ipotesi di contatti esterni non autorizzati. Come è possibile, infatti, che il ragazzo avesse un cellulare in carcere?
Il ritrovamento ha portato all’attivazione del regime speciale di sorveglianza previsto per i detenuti ritenuti pericolosi per l’ordine e la sicurezza del carcere, con severe limitazioni alla comunicazione e alle attività.
Il legame con l’inchiesta antimafia di Palermo
L’intera vicenda si inserisce all’interno di una più ampia inchiesta condotta dalla Direzione Distrettuale Antimafia di Palermo, che indaga su un presunto traffico di droga e telefoni cellulari all’interno del carcere Pagliarelli. In questo contesto, Pandetta figura tra gli indagati, aggiungendo un ulteriore livello di complessità alla sua posizione giudiziaria.
Secondo gli inquirenti, le attività sospette all’interno del carcere coinvolgerebbero una rete di contatti tra detenuti e complici esterni, con l’utilizzo illecito di dispositivi mobili per coordinare traffici e comunicazioni.
La difesa: “Provvedimento sproporzionato”
A intervenire è stato anche Roberto Floris, legale di Pandetta, che ha presentato ricorso al Tribunale di sorveglianza di Cagliari, chiedendo la revoca del regime speciale. Secondo l’avvocato, la misura sarebbe sproporzionata e configurerebbe una disparità di trattamento rispetto ad altri detenuti che, pur essendosi resi protagonisti di infrazioni analoghe, non sono stati sottoposti alla stessa forma di restrizione.
Floris contesta inoltre la narrativa pubblica che – a suo dire – tende ad amplificare ogni episodio legato al suo assistito, alimentando una percezione pregiudiziale che rischia di compromettere i suoi diritti come detenuto.
Un caso che accende il dibattito
Il caso Pandetta riapre il dibattito sul ruolo pubblico degli artisti con legami criminali, sul controllo delle comunicazioni nei penitenziari, e sulla gestione di figure mediatiche che, anche da dietro le sbarre, continuano a influenzare pubblico e opinione. Tra popolarità online, concerti contestati e accuse giudiziarie, la parabola del trapper siciliano continua ad attirare attenzione e polemiche, divisa tra musica, criminalità e giustizia.