La faida di Sant’Ilario dello Ionio: dieci anni di sangue e divisioni interne
Uno scontro mafioso nato nel cuore della Locride che ha segnato un’epoca nella storia criminale calabrese

L’estate del 1990 segna l’inizio della faida di Sant’Ilario dello Ionio, scaturita da una spaccatura interna alla cosca D’Agostino-Belcastro-Romeo. Il 15 agosto, con l’omicidio di Emanuele Quattrone, iniziano anni di sangue: Quattrone, mandato dai De Stefano per proteggere un clan e nel pieno della guerra con gli Imerti, viene assassinato proprio a Sant’Ilario, facendo emergere tensioni mai definitivamente sopite.
Escalation di violenza e interruzioni temporanee
Tra gli altri episodi sanguinosi: l’omicidio del capo dei vigili urbani Vincenzo Managò a ottobre 1990, seguito dalla morte di Benedetto Iurato nello stesso mese. Nel 1991 l’uccisione dell’affiliato Vincenzo Siciliano segna un crescendo di tensioni. Le forze dell’ordine riescono temporaneamente a interrompere il conflitto con l’operazione “Zagara” in quella seconda metà del 1993.
La svolta del 2000 e l’operazione "Primaluce"
Il 2 giugno 2000, in piena piazza centrale del paese, un killer proveniente dalla Sicilia assassina Francesco Managò, figlio di Vincenzo, mentre colpisce anche Francesco Zirilli in un agguato mirato. Subito dopo, nell’estate dello stesso anno, il conflitto culmina con l’uccisione di Domenico D’Agostino a Locri il 12 luglio. Due giorni dopo, il 19 luglio, scatta l’operazione Primaluce che pone formalmente fine alla faida.
Processo e verdetti contrastanti
Il processo scaturito dall’operazione Primaluce porta a condanne per alcuni dei protagonisti. Tuttavia, la Cassazione annulla la sentenza per ben due volte. Nel novembre 2015, lorsi ritrova davanti alla Corte d’Appello gli imputati principali: Vincenzo e Luciano D’Agostino vengono assolti, ma Giuseppe Belcastro e Tommaso Romeo confermano una condanna a 16 anni, mentre Domenico D’Agostino viene condannato a 10 anni di detenzione.
Conseguenze e contesto locale
La faida di Sant’Ilario ha lasciato una scia di otto morti in dieci anni, frutto di vendette e spinte di potere all’interno della criminalità locale. La richiesta di pene severe per alcuni imputati (quali Giuseppe Belcastro) testimoniava la gravità delle responsabilità emerse nei procedimenti giudiziari.