Santo Panzarella
Santo Panzarella

Santo Panzarella, ventinovenne originario di Curinga, scomparve nel nulla il 10 luglio 2002. Di lui, per lungo tempo, non si ebbero più notizie: un caso che rapidamente assunse i connotati della lupara bianca, ossia l’eliminazione del corpo per negare il cadavere e il riconoscimento dell’assassinio. La madre, Angela Donato, divenne figura simbolica della ricerca della verità, denunciando la sparizione del figlio senza rassegnarsi all’oblio.

Anni dopo, alcune fonti investigative hanno collegato la vicenda con il nome di Rocco Anello, boss locale dell’‘ndrangheta. Secondo testimonianze di pentiti, la causa originaria sarebbe stata una relazione sentimentale tra Panzarella e la moglie del boss, relazione che avrebbe scatenato gelosie, vendette e decisioni drastiche volte a “ripristinare l’onore” all’interno dei clan.

Dinamiche, accuse e processo: passi verso la verità

Le indagini hanno attraversato decenni, segnati da piste che si sono intrecciate tra interessi mafiosi e depistaggi. In alcune ricostruzioni il nome di Anello emerge come ideatore del delitto. Un pentito avrebbe riferito di aver assistito all’uccisione e indicato gli esecutori materiali, ma il percorso giudiziario ha incontrato ostacoli: prove discutibili, assenze di corpo, attenzioni minime a testimonianze chiave.

Durante i processi, alcuni degli imputati, tra cui Tommaso Anello, Vincenzo Fruci e altri affiliati, sono stati assolti per insufficienza di prove. Il ritrovamento di una presunta clavicola, enigma anatomo-forense, non è stato riconosciuto con certezza come appartenente a Panzarella, e la giustizia ha dovuto fare i conti con prescrizioni e lacune investigative.

La memoria vive: dolore, silenzio e impegno

La storia di Panzarella è diventata uno dei casi più emblematici di “omicidio senza corpo” nella Calabria mafiosa. La sua madre ha continuato a cercare verità, fatica e riconoscimento: ha chiesto risposte allo Stato, ha sollevato il velo sul silenzio sociale, ha sfidato gli ambienti collusi con coraggio.

Le trasmissioni televisive, i libri e i documentari hanno portato il suo nome nelle stanze dell’opinione pubblica nazionale. Il caso è stato inserito tra le storie simbolo delle vittime di ‘ndrangheta: chi muore senza essere trovato rischia di morire due volte, nell’oblio del caso archiviato.

Una ferita aperta nella giustizia italiana

A distanza di oltre vent’anni, la vicenda Panzarella rimane un monito sulla difficoltà di condurre indagini efficaci contro il crimine organizzato. Il silenzio di testimoni, la difficoltà di recupero del corpo, i rapporti criminali radicati nelle comunità, la fragilità delle prove scientifiche: tutti elementi che hanno ostacolato il percorso verso la verità.

Eppure, la vicenda continua a stimolare interrogativi essenziali: quanto pesa il legame tra mafia, potere locale e omertà? Quanto può resistere una società che non sa dare sepoltura alla sua verità?