Salvatore Serpa, sindacalista ucciso per “vendetta trasversale” nel 1981
La storia di un giovane funzionario Cgil caduto nel fuoco incrociato di faide mafiose

Era l’11 agosto 1981, nella località di Spezzano della Sila (Cs), quando un uomo di 27 anni, Salvatore Serpa, venne barbaramente ucciso all’interno della sua abitazione. Funzionario della Cgil e impegnato nel sindacato, Serpa non era un uomo della mala. Eppure, quella mattina poco prima delle 8, bussarono al citofono di casa due sconosciuti che, riuscendo a introdursi nell’appartamento, spararono numerosi colpi contro il sindacalista. I killer agivano con freddezza: molti colpi alla testa, al petto, e in varie parti vitali. La moglie, Lucia Rodi, che si trovava nell’abitazione, udì gli spari ma non poté nulla salvare.
Serpa giunse già privo di vita all’ospedale dell’Annunziata di Cosenza. Nessuna congettura, ma un’esecuzione pianificata: un colpo di scena in una guerra locale che non risparmiava nemmeno chi aveva scelto la strada di impegno sociale.
Cronaca di una faida che travolge anche chi è “estraneo”
Il movente individuato dagli inquirenti fu quello di una vendetta trasversale nella guerra tra clan mafiosi della zona tirrenica calabrese. Apparteneva a una famiglia legata al clan Serpa di Paola, e la sua scelta di aderire al Pci e di operare per la Cgil lo poneva in una posizione ambigua agli occhi dei clan in lotta. Pur essendo estraneo alle dinamiche criminali, il cognome e l’appartenenza familiare lo rendevano vulnerabile. Gli assassini non ebbero esitazioni: entrarono fino al pianerottolo del suo appartamento e lo mandarono al tappeto.
L’omicidio ebbe una valenza simbolica e cruda: non un regolamento di conti personale, ma un segnale intimidatorio, un avvertimento a chiunque volesse uscire dagli schemi delle lotte tra cosche e optare per l’impegno civile.
Il peso della memoria e la riconoscenza alle vittime
Salvatore Serpa è oggi inserito nelle liste delle vittime della ’ndrangheta. Il suo nome si affianca a quello di molti altri calabresi che persero la vita perché ritenuti “invisibili”, tolti con brutalità dalle mani del crimine organizzato. La sua storia ricorda che, spesso, non serve essere mafiosi per essere uccisi: basta avere un cognome “scomodo” o scegliere strade diverse da quelle imposte dalle cosche.
Oggi, dopo oltre quattro decenni, Serpa rimane un simbolo di resistenza silenziosa, un sacrificio che la comunità calabrese non deve dimenticare: il ricordo rafforza l’impegno a costruire legalità, memoria e giustizia.