I fratellini Pesce
I fratellini Pesce

Nella frazione di Pizzini, nel Comune di Filandari, provincia di Vibo Valentia, la serata del 24 ottobre 1982 si trasformò in un incubo per la famiglia Pesce. I fratelli Antonio, di 10 anni, e Bartolo, di 14, stavano giocando nei pressi della loro abitazione quando un ordigno esplosivo collocato davanti al portone deflagrò con violenza. L’attentato era destinato a un’altra famiglia coinvolta nella violenza mafiosa della zona, ma l’ordigno fu piazzato nell’abitazione sbagliata e causò la morte dei due ragazzi. Alcune altre persone rimasero ferite gravemente.

Il contesto della ‘ndrangheta e l’errore fatale

Il territorio del Vibonese in quegli anni era attraversato da faide, intimidazioni, conflitti per il controllo del territorio tra cosche locali. L’attentato che colpì i fratelli Pesce faceva parte di un’azione intimidatoria nei confronti del clan Soriano, ma finì per coinvolgere in modo drammatico due vittime innocenti. Nonostante indagini e processi, nessuno è stato ritenuto pienamente responsabile della strage: gli imputati vennero assolti e la vicenda resta aperta.

La memoria delle vittime e l’impatto sociale

La morte dei fratelli Pesce è diventata simbolo di come la violenza mafiosa colpisca i più deboli e generi ferite profonde in comunità spesso segnate dalla criminalità. Ogni anno, in varie iniziative pubbliche e scolastiche, la loro storia viene ricordata affinché non si banalizzi l’atto criminale e non si accetti che l’impunità diventi norma. Le richieste di verità e giustizia continuano a riecheggiare nelle piazze e nei territori calabresi.

Senza giustizia, senza verità piena

A oltre quarant’anni da quella tragica sera, la vicenda dei fratelli Pesce non ha trovato una conclusione definitiva. Le indagini rimangono incomplete, le decisioni giudiziarie non hanno portato a condanne, e le famiglie delle vittime restano in attesa di risposte. Questa assenza di chiarezza è spesso indicata come una delle contraddizioni più dolorose della Calabria: un territorio che reclama il diritto a memoria concreta e alla partecipazione attiva nella costruzione della legalità.

Un richiamo al futuro e alla responsabilità collettiva

La storia di Antonio e Bartolo Pesce non è solo cronaca di un delitto: è un monito che interpella la comunità intera. Rispettare quel ricordo significa impegnarsi per un cambiamento reale delle condizioni sociali, economiche e culturali della Calabria. È un richiamo a investire nella prevenzione, nell’educazione, nel sostegno alle vittime, nella trasparenza delle istituzioni e nel contrasto della criminalità organizzata in tutta la sua portata. Solo così si potrà rendere significativa la promessa «mai più» che accompagna la memoria delle vittime innocenti.