A distanza di quasi un decennio, un’altra azione fulminea e spettacolare colpisce la Sicurtransport. Cambiano le tecniche, variano gli scenari, ma la finalità sembra identica: sottrarre un bottino di valore milionario con un’operazione organizzata al millimetro. All’alba, nei pressi di Bagnara Calabra, un gruppo armato ha messo a segno un attacco che richiama inevitabilmente alla memoria quello del 4 dicembre 2016 contro il caveau dell’istituto di vigilanza a Catanzaro. Due episodi che, per modalità esecutive e precisione, sembrano usciti da un copione cinematografico.

L’assalto sull’A2: un tratto autostradale trasformato in trappola

Secondo le prime ricostruzioni investigative, una decina di persone avrebbe preso parte al blitz odierno sull’A2. Il gruppo avrebbe intercettato un furgone portavalori Sicurtransport, agendo con armi da fuoco e servendosi di due auto rubate. Le vetture, piazzate di traverso sulla corsia nord della ex Salerno–Reggio Calabria, sono state incendiate per creare un muro di fuoco e bloccare completamente il traffico in direzione nord.

Con la strada trasformata in un imbuto senza vie d’uscita, i rapinatori hanno potuto agire indisturbati, replicando uno schema operativo che ricorda da vicino quello del 2016.

Il precedente del caveau di Catanzaro

Nove anni fa, il commando impiegò poco più di venti minuti per svaligiare il caveau della Sicurtransport a Catanzaro: un’azione rapidissima che fruttò oltre otto milioni di euro. All’epoca furono utilizzate tredici auto rubate; undici vennero incendiate sulle strade circostanti per ostacolare ogni possibile intervento delle forze dell’ordine.

Le indagini durarono sedici mesi e portarono alla ricostruzione dell’intero piano, coordinata dalla DDA di Catanzaro insieme al Servizio Centrale Operativo e alle Squadre mobili di Catanzaro e Foggia.

Il precedente giudiziario: il commando calabro-pugliese

Dal lavoro degli investigatori emerse un gruppo composto da elementi calabresi e pugliesi. La sentenza definitiva, giunta nel marzo 2022, sancì un punto chiave: il maxi-furto da 8,5 milioni di euro era stato realizzato con il consenso di ambienti della ’ndrangheta. La Cassazione riconobbe infatti l’aggravante mafiosa, annullata in appello nel procedimento a carico di Giovanni Passalacqua e Dante Mannolo.

Secondo i giudici supremi, prima dell’azione Passalacqua avrebbe richiesto il via libera alle cosche crotonesi tramite lo stesso Mannolo, garantendo loro una quota del denaro trafugato.

Le nuove ombre sul colpo di oggi

Anche sull’operazione avvenuta questa mattina aleggia il sospetto di un possibile coinvolgimento della criminalità organizzata. Le prime ipotesi investigative chiamano in causa le famiglie di Sinopoli, Melicuccà e Sant’Eufemia d’Aspromonte, anche se non si esclude la presenza di gruppi emergenti dell’area reggina.

Al momento, però, il quadro resta aperto: gli inquirenti mantengono il massimo riserbo e non viene esclusa alcuna pista. Quel che è certo è che il modus operandi lascia pensare a una squadra esperta, capace di muoversi con disciplina militare e di replicare schemi già visti nei colpi più eclatanti del passato.