Scambio elettorale e mafia: l’inchiesta “Millennium” scuote la politica calabrese. Spuntano i nomi di Romeo, Nicolò e Tripodi. Al centro la cosca Alvaro
L’indagine della DDA di Reggio Calabria tocca esponenti politici di primo piano ed esponenti storici della criminalità organizzata della Piana. Tra le accuse più gravi, lo scambio elettorale politico-mafioso. Un’indagine che potrebbe riscrivere i rap

L’inchiesta della Direzione Distrettuale Antimafia di Reggio Calabria, denominata Operazione Millennium, potrebbe rappresentare uno dei più duri colpi giudiziari al sistema di interconnessioni tra ‘ndrangheta e politica regionale. Le accuse, pesantissime, vanno dall’associazione mafiosa allo scambio elettorale politico-mafioso, fino a ipotesi di estorsione e reati contro la pubblica amministrazione. Tra gli indagati – secondo fonti investigative – compaiono nomi noti del panorama politico calabrese. Sarebbero attualmente indagati, in stato di libertà:
Sebastiano Romeo, ex capogruppo del Partito Democratico nel Consiglio Regionale;
Alessandro Nicolò, ex consigliere regionale, passato da Forza Italia a Fratelli d’Italia.
Agli arresti domiciliari è finito Pasquale Tripodi, ex assessore regionale, per il quale – secondo quanto emerso – non sarebbe contestata l’aggravante mafiosa, ma resterebbe in piedi un quadro indiziario legato a rapporti ritenuti opachi con ambienti criminali. L’accusa che più colpisce è proprio quella di scambio elettorale politico-mafioso, prevista dall’art. 416-ter del codice penale, secondo cui un politico offrirebbe favori, appalti o posti di lavoro in cambio di pacchetti di voti controllati dalle cosche.
La “mano” della cosca Alvaro: un potere silenzioso, ma capillare
Al centro dell’inchiesta “Millennium” ci sarebbe la cosca Alvaro, storicamente radicata nel comune di Sinopoli, in provincia di Reggio Calabria. Il clan, noto alle cronache e ai dossier antimafia da decenni, avrebbe mantenuto un profilo basso ma una penetrazione capillare nel tessuto economico e, secondo le ipotesi accusatorie, anche politico. Cosimo Alvaro, detto “Pelliccia”, sarebbe una delle figure chiave finite in manette. A lui, e ad altri esponenti della cosca, si contesterebbe l’utilizzo sistematico di imprese di comodo — tra cui una società di ristorazione e una d’edilizia — ritenute funzionali a riciclare capitali illeciti e agevolare operazioni di controllo del territorio. Secondo la DDA, queste società potrebbero essere state usate anche per generare consenso politico, garantendo posti di lavoro temporanei in cambio di voti. La cosca Alvaro è considerata da anni una delle più influenti della Piana di Gioia Tauro, con alleanze storiche con i Pesce, i Bellocco e i Piromalli. A differenza di altri clan, gli Alvaro avrebbero puntato — secondo analisi di fonti giudiziarie — sulla contaminazione silenziosa dei settori legali, inserendosi con astuzia nei comparti economici più esposti ai finanziamenti pubblici: edilizia, ristorazione, turismo.
Il voto controllato e la “spinta” alle elezioni
Secondo quanto emerso dagli atti, i membri della cosca avrebbero avuto contatti diretti o indiretti con esponenti politici in cerca di consenso, da capitalizzare nelle competizioni elettorali. Un meccanismo che — se confermato — avrebbe visto alcuni candidati “spinti” grazie al controllo sociale esercitato dalle cosche nei piccoli centri e in aree urbane a rischio. La strategia sarebbe stata quella già ben collaudata da anni in Calabria: offrire pacchetti di voti, in cambio di promesse politiche — posti di lavoro, appalti, mediazioni nelle ASL o negli enti pubblici. Nessuna condanna è stata ancora emessa, e tutti gli indagati godono della presunzione di innocenza. Ma l’inchiesta “Millennium” — ancora nelle sue fasi preliminari — potrebbe rappresentare l’ennesimo spaccato drammatico di un sistema che in Calabria si è mostrato più resistente di qualsiasi riforma.
Le società sequestrate: ristorazione ed edilizia al centro del sistema
Uno degli aspetti più inquietanti emersi dall’inchiesta è il sequestro di due aziende, ritenute riconducibili agli indagati: una attiva nel settore della ristorazione e l’altra in quello edile. Entrambe — secondo la DDA — sarebbero state strumentalizzate per finalità illecite, sia attraverso l’utilizzo di lavoratori in nero, sia per ottenere appalti pubblici grazie a protezioni politiche. In un’intercettazione, uno degli indagati avrebbe detto: “Questa impresa è nostra, ma la intestiamo a un altro, così pigliamo i lavori e nessuno se ne accorge”.
Frasi come queste — se confermate — potrebbero diventare centrali nel processo, delineando un sistema dove mafia, imprenditoria e politica si sarebbero mossi in sinergia per spartire risorse pubbliche.
Una linea sottile tra consenso e potere
Il quadro che emerge dall’operazione Millennium, se le accuse dovessero essere confermate, parlerebbe ancora una volta di una Calabria in ostaggio della politica che parla con le cosche.
Non si tratterebbe solo di “infiltrazione”, ma di un sistema di mutuo vantaggio, dove il consenso elettorale viene costruito con la forza dell’intimidazione e il potere viene usato come merce di scambio. Romeo, Nicolò, Tripodi — nomi noti, ora sotto i riflettori. Cosimo Alvaro, detto “Pelliccia”, nome storico di una delle cosche più influenti del Sud. Le imprese sequestrate, il reato gravissimo dello scambio politico-mafioso. Tutti elementi che fanno di questa inchiesta un punto di svolta.
O forse, solo l’ennesimo segnale — che rischia di spegnersi nel tempo — se la politica non saprà tagliare ogni contatto, ogni complicità, ogni ambiguità.