La 'ndrangheta è radicata a Carmagnola: la Cassazione conferma il legame col clan Bonavota
Dalle motivazioni della sentenza del maxi-processo Carminius emerge la presenza stabile della famiglia Arone, articolazione della 'ndrangheta vibonese

La Corte di Cassazione ha depositato le motivazioni della sentenza del maxi-processo Carminius, confermando la presenza stabile della 'ndrangheta a Carmagnola, in provincia di Torino, sin dal 1991. Per i giudici, nel comune piemontese di circa 28.000 abitanti, si è radicato in maniera continuativa il gruppo criminale della famiglia Arone, considerato a tutti gli effetti un’articolazione della cosiddetta 'ndrangheta delocalizzata.
Secondo la Suprema Corte, la consorteria operante a Carmagnola è riconducibile al clan Bonavota, egemone nel territorio calabrese di Sant’Onofrio, in provincia di Vibo Valentia. Questa struttura si sarebbe espansa al Nord mantenendo vincoli e metodologie tipiche delle cosche calabresi, a conferma della pervasività della 'ndrangheta ben oltre i confini regionali.
Il presunto legame con Cosa Nostra: accusa annullata
Diverso, invece, il giudizio riguardante un presunto coinvolgimento di Cosa Nostra. La Direzione Distrettuale Antimafia aveva ipotizzato l’esistenza di un’alleanza operativa tra mafia siciliana e 'ndrangheta sul territorio carmagnolese, individuando nel 67enne Antonino Buono, originario della provincia di Palermo, un referente mafioso con un ruolo paritario rispetto agli 'ndranghetisti.
Secondo l'accusa, Buono si sarebbe occupato, per conto della ‘ndrangheta, della gestione del business dei videopoker in città. Tuttavia, già in primo grado, il Tribunale di Asti lo aveva assolto, e la Cassazione ha ora confermato quella valutazione: mancano gli elementi per ritenere che vi fosse un rapporto “stabile e organico” tra Buono e i vertici della 'ndrangheta.
Il significato della sentenza
Le motivazioni della sentenza rappresentano un importante riconoscimento giudiziario del radicamento strutturale della 'ndrangheta in Piemonte, ma al contempo segnano un punto di equilibrio nel non estendere senza riscontri certi l’attribuzione di collegamenti trasversali con altre mafie.
Il processo Carminius – celebrato in primo grado ad Asti e in appello a Torino – ha messo in luce l’evoluzione delle strategie espansionistiche della 'ndrangheta, capace di ricreare le proprie dinamiche associative anche lontano dai territori di origine, mimetizzandosi nel tessuto economico e sociale del Nord Italia.
Un fenomeno ancora attuale
La sentenza della Cassazione si inserisce in un quadro più ampio di riconoscimento delle mafie delocalizzate, fenomeno che da anni vede la 'ndrangheta in prima linea per penetrazione, riservatezza e capacità di influenzare le economie locali. Carmagnola, con il caso Arone, diventa un caso emblematico della colonizzazione silenziosa del Nord.
Il processo Carminius, e le sue motivazioni finali, rappresentano dunque non solo un pronunciamento giuridico, ma un monito politico e sociale: la presenza della 'ndrangheta non è più solo un problema calabrese, ma una questione nazionale.