Fu autore di uno dei delitti più efferati della criminalità organizzata, sconvolgendo profondamente la collettività, quello del piccolo Giuseppe Di Matteo, figlio del pentito Santino Di Matteo, strangolato e poi sciolto nell’acido da Matteo Messina Denaro, Leoluca Bagarella, Giuseppe Graviano e Giovanni Brusca.


 

Il crudele gesto avvenne a seguito di una decisione comune scaturita dall’inusuale numero di “pentiti” relativi alla strage di Capaci, che stavano attivamente collaborando con la giustizia. Durante una riunione tra questi, spuntato fuori il nome di Santino Di Matteo – uno dei pentiti - la prima proposta fu quella di uccidere il figlio. Fu Graviano – però - a proporne il sequestro, offrendo di organizzare il rapimento.

 

Era il 14 novembre 1993 quando Giuseppe – al tempo 12enne – usciva dal maneggio dove era solito andare a cavallo. Fu allora che venne tratto in inganno dai sequestratori, i quali – travestiti da poliziotti della DIA – convinsero il ragazzo a seguirli in modo da poter rivedere il padre, in quel momento sotto protezione.

 

“Papà mio, amore mio” furono queste le ultime parole del piccolo Giuseppe, quando – dopo due anni di rapimento – venne brutalmente strangolato e ucciso dai suoi sequestratori a San Giuseppe Jato, l'11 gennaio 1996. Il corpo non fu mai rinvenuto poiché i resti del suo cadavere vennero sciolti nell’acido, distruggendone le tracce.


 

L’omicidio avvenne nel tentativo di impedire che il padre, Santino, collaborasse con gli investigatori.

Le parole di Gaspare Spatuzza, emerse durante la testimonianza in aula, danno contezza dell’atrocità di questo crimine che sconvolse profondamente la collettività, lasciando trapelare la disumanità con cui venivano compiuti tali omicidi:

«L’abbiamo legato come un animale e l’abbiamo lasciato nel cassone. Lui piangeva, siamo tornati indietro perché ci è uscita fuori quel poco di umanità che ancora avevamo. Ci chiamò dicendo che doveva andare in bagno - ha continuato Spatuzza - ma non era vero. Aveva solo paura. Allora tornammo indietro per rassicurarlo e gli dicemmo che ci saremmo rivisti all'indomani, invece non lo rivedemmo mai più».