Rosa Vespa e Moses Omogo Chidiebere
Rosa Vespa e Moses Omogo Chidiebere

È ancora vivo nell’opinione pubblica il clamore per il caso di Rosa Vespa, la donna 51enne di Cosenza che lo scorso 21 gennaio 2025 ha rapito una neonata dalla clinica Sacro Cuore, inscenando una farsa che ha ingannato medici, parenti e persino il proprio marito. A cinque mesi di distanza, ecco come stanno andando le cose.

Il rapimento alla clinica “Sacro Cuore”

Quel giorno, Rosa si era presentata alla clinica vestita da puericultrice, fingendo di essere una figura sanitaria autorizzata. Ha preso in braccio la piccola Sofia, nata da pochi giorni, e ha convinto la madre e la nonna che la bambina doveva essere sottoposta a un controllo pediatrico. Da quel momento, è sparita.

La clinica ha immediatamente allertato le forze dell’ordine. Fondamentale è stata l’analisi delle telecamere di videosorveglianza, che hanno permesso agli investigatori di identificare rapidamente Rosa e raggiungerla nella sua abitazione a Castrolibero, a pochi chilometri di distanza.

 Una farsa costruita nei minimi dettagli

In casa Vespa tutto era stato preparato per accogliere un bambino mai esistito: decorazioni azzurre, una culla, palloncini con scritto “È nato!”, e persino una festa in programma per celebrare il parto. La donna aveva sostenuto per mesi di essere incinta, mostrando ecografie false, inventando controlli medici, e arrivando a modificare il proprio aspetto con abiti imbottiti per simulare il pancione.

Tutti, compreso il marito Moses Omogo Chidiebere, 43 anni, di origini senegalesi, erano stati completamente ingannati. L’uomo, al momento del ritrovamento della neonata, era presente in casa e ha dichiarato di essere convinto che Rosa avesse realmente partorito. Aveva persino ricevuto una falsa lettera di dimissioni ospedaliere.

 L’intervento delle forze dell’ordine

Grazie alla rapidità dell’indagine, la piccola Sofia è stata ritrovata sana e salva poche ore dopo il rapimento e riconsegnata ai genitori. L'intera operazione ha visto il coinvolgimento delle forze dell'ordine, supportate dalla comunità locale e dal personale della clinica.

Rosa è stata immediatamente arrestata e portata nel carcere di Castrovillari, dove si trova tuttora. Il marito, inizialmente fermato per favoreggiamento, è stato scarcerato poco dopo, poiché il giudice ha ritenuto credibile la sua versione: non sapeva nulla.

 La situazione giudiziaria e gli sviluppi

Attualmente, Rosa Vespa è in custodia cautelare. Il suo avvocato ha richiesto una perizia psichiatrica, sostenendo che la donna potrebbe non essere stata capace di intendere e volere al momento del gesto. Si ipotizza un disturbo psichico di tipo affettivo o ossessivo legato alla maternità.

Nel frattempo, le indagini continuano per verificare se ci siano complici o negligenze nella struttura sanitaria, e per chiarire come abbia potuto ottenere documenti sanitari falsi senza essere scoperta.

 Le conseguenze sulla sanità

Il caso ha sollevato forti interrogativi sulla sicurezza dei reparti di maternità in Italia. Dopo l’episodio, diverse strutture sanitarie hanno rafforzato i protocolli di controllo, sia per il personale che per l’accesso dei visitatori nei reparti neonatali.

Una comunità sconvolta

Cosenza, la clinica, e la comunità locale sono ancora scossi dalla vicenda. In molti si chiedono come sia stato possibile un inganno così elaborato, e cosa abbia spinto una donna a simulare una gravidanza per mesi, per poi arrivare a rapire una neonata.

Un disagio profondo e mai ascoltato

Quello di Rosa Vespa non è soltanto il gesto criminale di una donna lucida e determinata a ingannare tutti. Dietro la messinscena, lunga mesi, emerge il quadro drammatico di un disagio psichico profondo, probabilmente covato a lungo e mai intercettato da chi le stava vicino. Il desiderio ossessivo di maternità, o forse la paura del vuoto affettivo, l’ha spinta a creare una realtà parallela in cui potersi sentire madre a tutti i costi. Il fatto che sia riuscita a falsificare ecografie, portare avanti una gravidanza immaginaria, e costruire un’intera rete di menzogne, suggerisce non solo un comportamento premeditato, ma anche un grido d’aiuto soffocato da anni di invisibilità sociale e familiare. In questa vicenda si legge anche l’assenza di un sistema capace di intercettare certi segnali, e l’isolamento emotivo che può trasformare una sofferenza psicologica in una tragedia collettiva.