Faccia del piccolo Gabriele con circa 60 morsi
Il piccolo Gabriele dopo i 60 morsi

Le conseguenze giudiziarie: accuse, processi e rischio archiviazione

In base alle indagini, sono tre gli indagati nel procedimento relativo al caso, accusati in particolare del reato di abbandono di minori. Questo capo d’accusa appare centrale, vista la ricostruzione che i bambini sono stati lasciati soli tanto a lungo. È stato fissato un processo e un’udienza importante, avente il potenziale di riaprire il penale: secondo quanto riportato, per il 21 maggio una data chiave in cui la questione dell’abbandono dovrebbe essere affrontata definitivamente. Tuttavia, nonostante l’evidenza dei danni fisici e delle prove materiali, il procedimento rischia grosso per un motivo tecnico ma decisivo: la decorrenza dei termini. In Italia, i reati hanno termini di prescrizione o di decadenza che, se superati senza che vi sia stata sentenza definitiva o azione compiuta, possono far sì che il procedimento si chiuda senza condanna. La famiglia sostiene che nessuno è stato ancora chiamato a rispondere delle gravi negligenze nonostante siano ormai passati tre anni dai fatti. Il rischio che tutto venga archiviato – non per mancanza di dolore o evidenza, ma per scadenza dei termini – viene denunciato come una situazione intollerabile. 

I silenzi e le responsabilità che gravano sul sistema

La struttura educativa continua ad operare: non risulta che sia stata sospesa, chiusa o sottoposta a restrizioni significative, nonostante la gravità del quadro e le accuse di omissione vigile e di mancato rispetto degli obblighi di sicurezza. I genitori lamentano che le maestre abbiano inizialmente minimizzato l’aggressione, sostenendo che i morsi fossero avvenuti in “pochi secondi” e che il bambino fosse semplicemente caduto o strattonato. Le condizioni emerse dai medici, invece, contraddicono nettamente quelle versioni.  L’uso della crema alcolica sul volto appare come un errore grave e un’aggravante: non solo per il danno fisico aggiunto, ma per la mancata comprensione della necessità di cure idonee e di mettere in sicurezza il bambino prima di ogni altra cosa. Il tentativo di cancellare le immagini è un fatto che potrebbe configurarsi come occultamento di prova, e che rende difficoltosa la ricostruzione del fatto compiuto. Anche la tardiva denuncia (i genitori denunciano che la denuncia fu formalizzata il giorno dopo l’aggressione) ha lasciato spazio, secondo loro, a manovre per far sparire elementi probatori. 

Il punto critico: decorrenza dei termini e archiviazione

La legge italiana stabilisce che per alcuni reati gravi – come l’abbandono di minori – ci siano termini entro i quali il procedimento deve essere portato avanti. Se queste scadenze passano senza che sia intervenuta una richiesta di rinvio a giudizio o una pronunciata sentenza definitiva, il giudice può decidere per l’archiviazione. Nel caso di Gabriele, la famiglia denuncia che quei termini siano ormai prossimi, se non già superati per alcune ipotesi di reato, perché siano passati oltre tre anni. È questo rischio che rende ogni silenzio, ogni rinvio, ogni ritardo così grave. Non si tratta solo di dolore: si tratta del pericolo reale che l’atto più grave – che qualcuno risponda del danno subito da un bambino – non possa più accadere.

Perché la storia di Gabriele deve scuotere

Perché ci parla non soltanto di un singolo bambino, ma di un sistema che ha promesso protezione e controllo – come le telecamere dell’asilo – e che, in questo caso, ha prima fallito di vigilare, poi ha cercato di oscurare prove importanti. Perché un volto, un corpo deturpato non sono statistiche. Sono segni indelebili, in un’anima che merita spiegazioni, giustizia, riparazione. Perché un processo, un’udienza, una decisione giudiziaria non sono solo atti legali: sono il riconoscimento che certe sofferenze non possono rimanere senza risposte. Il caso del piccolo Gabriele è già doloroso di suo, ma sta diventando anche drammatico per il modo in cui il tempo minaccia di cancellare ogni possibilità di giustizia. Con oltre sessanta morsi, con un volto ustionato, con prove che parlano chiaro, l’unica cosa che non può accadere è che tutto finisca nel nulla per un termine giuridico scaduto.

Laura e Giuseppe non chiedono vendetta: chiedono che la legge faccia il suo corso, che chi ha sbagliato risponda, che la Verità non sia un concetto astratto ma un fatto accertato per il loro bambino. E che quel bambino non debba crescere sapendo che nessuno ha guardato, nessuno ha protetto, nessuno si è mosso.