"Pitte ‘mpigliate, miele di fichi, turdiddhri, scaliddhri arrivati direttamente a Prato … niente di tutto questo è bastato quest’anno per riprodurre quassù il calore del mio Natale, quello che nella mia vita ho sempre trascorso a Cosenza. Perché tutto mi è mancato: quel profumo permanente di miele e cannella che senti appena arrivi a casa, trasformata da mamma fin dai primi di dicembre in una pasticceria, quelle luci dell’albero e del presepe, così genuinamente allestiti, che ti accarezzano il cuore per quanto ti fanno sognare, il volto di tutti i familiari pronti a respirare la gioia ricambiata di figli e nipoti, l’atmosfera che mi rigenera fino all’estate, quando c’è bisogno di essere di nuovo lì tra i miei cari". Questa è la testimonianza di Elena avvocato, cinquant'anni mamma di Elisabetta e Francesca, cosentina che vive a Prato insieme al marito Gennaro.

"Tutto questo è mancato, e mancherà per sempre" ci racconta al telefono descrivendoci la sua doverosa rinuncia.

"Quest’anno ho osservato le regole dei desideri traditi, dell’entusiasmo blindato, dei progetti accantonati, perché arriveranno quelle del cuore, quelle che mi ricondurranno al calore di casa" conclude Elena lasciando un messaggio di speranza, la speranza che questo dramma che stiamo vivendo tutti, termini presto, per ritrovare quegli abbracci, il calore di casa, gli occhi profondi dei nonni e la normalità perduta.

Così è stato vissuto il periodo delle festività natalizie che sta per terminare, alcuni direbbero " per fortuna", per moltissimi calabresi fuori sede viste le restrizioni per l'emergenza pandemica da covid 19.

E' evidente il profondo senso di nostalgia che ha attraversato ognuno di essi, per la lontanaza dai loro cari e dalla loro terra, con il suo calore il suo profumo, profumo di casa.

Abbiamo raccolto altre testimonianze, quella di Marco 39 anni, originario della provincia di Crotone, insegnante di sostegno in un liceo milanese, anche lui insieme alla sua famiglia ha deciso di non tornare in Calabria.

"La nostra scelta è stata quella di comportarci con senso di responsabilità - ci dice Marco -  volendo farlo saremmo potuti scendere, poichè insegnando in un liceo con la didattica a distanza il blocco sarebbe stato dal 21 dicembre in poi e avremmo tranquillamente potuto viaggiare prima, ma non lo abbiamo fatto per tutelare i nostri cari, che si trovano tra la provincia di Crotone e quella di Reggio Calabria, per salvaguardare i nonni,  non sarebbe stato davvero il caso, sebbene ci sia dispiaciuto molto perchè abbiamo una bambina piccola di 15 mesi che non vede i nonni dall'ultima estate. Non è facile privarsi degli affetti più cari - aggiunge Marco - soprattutto in un periodo come quello legato al Natale che ha un significato simbolico molto intenso e che normalmente riunisce tutta la famiglia".

Da Milano ci siamo spostati a Bari dove abbiamo raccolto la testimonianza di un'altra Elena 47 anni, cosentina  anche lei,  pedagogista, Coordinatrice del centro servizi per le famiglie del comune di Bari, mamma di Matteo 13 anni legatissimo ai nonni e alla zia che vivono a Cosenza.

"Sono rimasta in Puglia con mio figlio e mio marito perchè sono impegnata nella distribuzione dei buoni spesa alle famiglie indigenti del comune di Bari, naturalmente questo mi ha impegnata durante il periodo natalizio, sarei potuta scendere nei giorni 25 e 26 ma non l'ho fatto per tutelare, visto e considerato la mole di persone che incontro tutti i giorni, i miei genitori e mia sorella che vivono a Cosenza, non avevo molto tempo per pensare alla lontananza dalla mia famiglia perchè perennemente in trincea, ma nei pochi momenti vissuti a casa ho santito tanto nostalgia della mia famiglia e della mia terra sperando di potervi fare ritorno quanto prima".

Quella dei tre professionisti calabresi è un'sperienza di rinuncia, caratterizzata però, lasciatecelo sottolineare, da un grande senso di responsabilità, quella responsabilità che molti fanno "fatica" a mettere in pratica ancora adesso nonostante i 73 mila morti da covid solo in Italia, nonostante le testimonianze agghiaccianti di chi è stato contagiato e ha guardato in volto la morte. Un senso di responsabilità dovuto e opportuno rivolto nei confronti dei loro genitori, dei loro nonni, persone non più giovanissime maggiormante esposte al contagio da coronavirus. Ci fa piacere raccontare storie come quella di Elena, Marco ed Elena che hanno scelto di proteggere le loro famiglie d'origine, abbiamo assistito a troppe scene di negazionismo e soprattutto di menefreghismo da parte di masse di persone incuranti di ciò che sta accadendo. Ci sono momenti della vita, ci insegnano i tre calabresi, che bisogna fermarsi e aspettare che passi la tepesta per salvare noi stessi e le persone che amiamo.