Sanità commissariata e disservizi: come la Calabria affronta la crisi del sistema pubblico
Un’analisi tra fallimenti annunciati, speranze di riforma e il vissuto dei cittadini

La sanità calabrese è in regime di commissariamento da ormai molti anni. Il meccanismo, introdotto con l’obiettivo dichiarato di risanare gli squilibri finanziari, ha finito per cristallizzare un modello in cui lo Stato esercita poteri sostitutivi sugli enti regionali. In teoria, il commissariamento doveva riportare ordine contabile, rigore gestionale e rilancio dei servizi. Nella pratica, invece, gran parte dell’agenda è rimasta sulla carta: ospedali incompleti, infrastrutture sanitarie mai realizzate, personale carente e un sistema territoriale bloccato. In questi anni si sono avvicendati commissari straordinari e dirigenti esterni, spesso con salti di competenza e continuità, senza che si registrassero miglioramenti strutturali.
Le fasce più fragili della popolazione pagano il prezzo più alto: per curarsi, molti calabresi devono rivolgersi a strutture del Centro-Nord, generando i cosiddetti “viaggi della speranza”. Le liste d’attesa si allungano a dismisura, le prestazioni territoriali sono spesso assenti, e tanti cittadini rinunciano alle cure o si arrangiano privatamente.
Disservizi quotidiani: il volto umano della crisi
Nelle corsie degli ospedali regionali si registrano carenze anche nei beni più elementari: macchinari obsoleti, posti in terapia intensiva insufficienti, reparti con personale in affanno. I pronto soccorso diventano luoghi dove la detenzione aspettata è la norma, non l’eccezione. Nei piccoli ospedali molti reparti sono chiusi per mancanza di medici o per motivi organizzativi, e spesso non si riesce a garantire guardie mediche notturne o reperibilità.
Anche sul versante territoriale il sistema mostra crepe evidenti: le cosiddette “Case della comunità” – presidi sanitari di prossimità – tardano ad attivarsi, oppure operano in modo parziale. Nei comuni interni, la sanità territoriale è spesso frammentata, con medici di base sovraccarichi, farmacie distanti e difficoltà di accesso ai servizi specialistici senza spostamenti gravosi.
Il tema della mobilità sanitaria – cioè il ricorso al privato fuori regione – pesa centinaia di milioni ogni anno, sottraendo risorse a chi resta e impoverendo il sistema pubblico calabrese.
Cause profonde: struttura debole, governance debole
Dietro la crisi sanitaria calabrese ci sono cause complesse e interconnesse. La struttura produttiva regionale è debole anche nel campo della salute: poche rilevanti eccellenze ospedaliere attrattive, modesta capacità di conservare personale medico qualificato, scarsa innovazione tecnologica.
La governance è un problema centrale. I meccanismi decisionali, appalti e acquisizioni sono gestiti con lentezza e trasparenza insufficiente. Le resistenze burocratiche e le incomprensioni tra enti regionali, ministeri e commissari generano continui ritardi. Anche la gestione dei bilanci delle aziende sanitarie ha rappresentato un tallone d’Achille: molti bilanci erano pendenti da anni e solo recentemente è stato approvato un bilancio consolidato regionale che dà speranza di uscita dal commissariamento, ma che non risolve le emergenze quotidiane.
Un altro nodo è la scarsa attrattiva della Calabria: molti medici e specialisti preferiscono trasferirsi in altre regioni dove le condizioni offrono più stabilità, carriera e risorse. Inoltre, alcune scelte legislative e di politiche regionali sembrano privilegiare interventi “a effetto mediatico” o grandi opere sanitarie, anziché investire nei servizi primari.
Segnali di cambiamento e nuove speranze
Non tutto è immutabile: negli ultimi tempi si sono registrate alcune iniziative che potrebbero indicare avvi di rinnovamento. Il Consiglio regionale ha evidenziato miglioramenti nei Livelli Essenziali di Assistenza (Lea), con la Calabria che non è più ultima su tutti i parametri. Le aziende sanitarie hanno finalmente chiuso bilanci in ritardo da anni, consentendo l’approvazione del bilancio consolidato. Questo passaggio è considerato uno degli elementi chiave per la richiesta di ritorno alla normalità e uscita dal commissariamento.
Alcune riforme strutturali sono in corso: il rafforzamento del sistema aziendale sanitario regionale con un ente centrale (“Azienda Zero”), la digitalizzazione dei servizi sanitari, il consolidamento del Cup unico regionale, la ristrutturazione di ospedali in parte stagnanti. Sono stati siglati accordi per importare personale medico straniero e si stanno tentando percorsi più innovativi per attrarre giovani professionisti.
Tuttavia, questi segnali restano fragili se non sostenuti da continuità, controllo rigoroso e volontà politica costante. Gli ostacoli sono molteplici, ma una Regione decisa potrebbe fare la differenza: l’obiettivo non è più solo sopravvivere, ma costruire servizi sanitari efficienti, vicini e affidabili.
La posta in gioco: salute, fiducia e futuro
La crisi della sanità in Calabria non è solo un problema tecnico o di bilancio: è una questione civile che tocca dignità, diritti e speranze delle persone. Un sistema pubblico sanitario che non funziona erode la fiducia verso le istituzioni e spinge chi può a esodi interni e migrazioni sanitarie.
La legalità, la trasparenza e l’efficacia nel settore salute devono diventare pilastri di un nuovo patto sociale regionale. Il pubblico dovrà tornare a farsi carico dei bisogni primari, con investimenti mirati, formazione, organizzazione e monitoraggio rigoroso.
Se la Calabria intende uscire dalla crisi, deve fare della sanità non un capitolo residuale, ma il fondamento della sua rinascita. Il tempo è stretto, ma la posta in gioco è altissima: vita, salute e speranza per le future generazioni.