Matteo Vinci, biologo ucciso da un’autobomba a Limbadi, simbolo di coraggio contadino
Il 9 aprile 2018 un ordigno esploso nella sua auto spezza la vita di un 42enne che difendeva la terra

La morte di Matteo Vinci riassume molti nodi della Calabria: il legame profondo con la terra, la pressione mafiosa sul tessuto rurale e le contraddizioni del sistema giudiziario. Il suo omicidio ricorda quanto dolore possa portare l’accumulo di potere e denaro, e quanto sia vitale continuare a cercare giustizia e verità, affinché il sacrificio di Matteo non sia stato vano.
Un biologo e un contadino coraggioso
Matteo Vinci, 42 anni, era un biologo di formazione e nello stesso tempo un lavoratore instancabile dei campi di famiglia a Limbadi, nel Vibonese. Non si piegava alle pressioni dei vicini, imparentati coi Mancuso, che cercavano di acquisire i terreni posseduti dalla sua famiglia. La sua fermezza negli anni lo aveva reso un esempio di integrità e determinazione.
L’attentato che spezza due vite
Il 9 aprile 2018, Matteo era alla guida della sua Ford Fiesta insieme al padre Francesco. Un ordigno nascosto sotto l’auto esplose in pieno giorno, prendendo in pieno Matteo e lasciando il padre gravemente ferito. L’esplosione, violenta e letale, scosse l’intera comunità di Limbadi.
Mandanti, esecutori e il processo in corso
L’indagine guidata dalla Dda di Catanzaro ha individuato nella contesa dei terreni l’origine dell’attentato. Due persone sono state riconosciute come mandanti: Rosaria Mancuso – sorella di boss locali – e suo genero Vito Barbara, entrambi condannati all’ergastolo in primo grado. Il processo ha anche coinvolto esecutori materiali, con richiesta di carcere a vita per Filippo De Marco e Antonio Criniti.
Cassazione: caos giudiziario e rinvio del processo
Nel giugno 2025 la Corte di Cassazione ha annullato la condanna all’ergastolo per Rosaria Mancuso, ordinando un nuovo processo d’appello e la sua scarcerazione per decorrenza dei termini preventivi. Il genero Vito Barbara mantiene invece la pena dell’ergastolo. Le indagini hanno inoltre escluso, in appello, l’aggravante mafiosa, ricondurre l’attentato a una contesa di vicinato legata alla proprietà dei terreni.
Un dolore che non tace e un’eredità di impegno civile
La madre di Matteo, Sara Scarpulla, continua a chiedere verità e giustizia, denunciando minacce e pressioni ricevute anche recentemente dalla stessa Rosaria Mancuso, ormai tornata a vivere vicino alla sua abitazione. La vicenda ha acceso riflessioni sul valore della terra e della dignità, rinnovando la necessità di tutela per le vittime innocenti in Calabria.