L’omicidio di Salvatore Nazareno Emanuele: un capitolo cruento della "faida dei boschi"
Il 28 marzo 1978 nei pressi della sua abitazione Salvatore Emanuele, figura di spicco degli "Emanuele detti strazzi", viene freddato in un agguato

Il 28 marzo 1978 si consumò uno dei momenti più cruenti della cosiddetta “faida dei boschi”: Salvatore Nazareno Emanuele venne ucciso nei pressi della sua abitazione. Capo degli Emanuele, schieramento contrapposto a quello dei Vallelunga (detti "Viperari"), fu vittima di un agguato che lasciò un segno profondo sulla cronaca criminale dell’area montana tra le province di Catanzaro, Vibo Valentia e Reggio Calabria.
Il contesto della guerra tra clan
La faida scoppiò tra la fine degli anni Ottanta e si inasprì nel 1977–1978. Due schieramenti erano contrapposti: da una parte i Vallelunga (alleati con i Turrà), dall’altra gli Emanuele, i Ciconte e i Nardo, sostenuti dal boss Giuseppe Ierinò. Era un conflitto sanguinoso nato da antiche rivalità e scontri tra capibastone, con decine di vittime tra le fila dei due schieramenti.
La vendetta e la condanna
L’omicidio di Emanuele fu una rappresaglia avviata dopo che quattordici anni prima lui stesso aveva ucciso Bruno Vallelunga. Sul caso di Salvatore fu condannato Cosimo Vallelunga, nipote del boss assassinato, confermando la dinamica di vendetta tradizionale tra le famiglie in lotta.
Un’eredità di sangue tra le Serre
Quel delitto aprì la prima fase della faida durata fino al 1990, con oltre venti vittime. Il conflitto proseguì nel decennio successivo, segnando uno dei periodi più cruenti nella storia criminale dell’area, culminando nell’operazione “Confine” del 2012 che riuscì a smantellare la rete di alleanze criminali tra le cosche.
Memoria e impegno contro l’omertà
La vicenda di Salvatore Nazareno Emanuele resta oggi un monito sul prezzo tragico delle guerre tra clan. In quel territorio montano, segnato da faide e vendette, le comunità continuano a riscoprire la necessità della memoria, della legalità e della rinascita economica e civile per rompere il cerchio di sangue che ha insanguinato le Preserre.